- giacom50
Carboidrati semplici e complessi: differenza e impatto sulla glicemia
Carboidrati semplici o complessi, a basso o ad alto indice glicemico, con o senza amido, ricchi o poveri di fibre: si fa presto a dire carboidrati, ma le differenze tra i vari alimenti ricchi di questo macronutriente sono molte. “Pane, pasta, riso, patate, ma anche verdura, frutta, zucchero, vino: sembrano alimenti completamente diversi tra loro ma tutti sono a base di carboidrati”, chiarisce a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano.

Carboidrati semplici e complessi: la differenza —
Una delle differenze principali, anche per i suoi effetti sulla salute, è tra carboidrati semplici e complessi. “Si tratta di una diversità basata sulla struttura chimica: i carboidrati semplici hanno una struttura più corta, e quindi vengono assorbiti più rapidamente dall’organismo, mentre i carboidrati complessi sono composti da più polimeri di glucosio, e per questo il nostro organismo impiega più tempo per assorbirli. L’effetto si ha sulla glicemia: i carboidrati semplici hanno un maggiore impatto sulla glicemia, tanto che possono essere sconsigliati in caso di diabete. I carboidrati complessi, invece, mantengono i livelli di glicemia più costanti nel tempo”, chiarisce la nutrizionista. Ma questo non significa che i carboidrati semplici siano da demonizzare… “Per chi fa sport, per esempio, i carboidrati semplici possono essere una fonte di energia immediata”.
Dove li troviamo —
Ma quali sono le fonti di carboidrati semplici e complessi? “Fonti di carboidrati semplici sono la frutta, i dolci, i prodotti da forno, i dolcificanti, mentre i carboidrati complessi sono presenti nei cereali integrali, come riso nero o rosso, farro, orzo, mais, quinoa. Un discorso a parte meritano i legumi che hanno una componente di carboidrati ma anche di proteine vegetali. Ed è questo il macronutriente prevalente”.
Il ruolo dell’amido nei carboidrati —
Tra i carboidrati troviamo anche le patate, che non sono una verdura come qualcuno pensa ma un tubero. “Una delle peculiarità della patata è che è ricca di amido. Questo composto organico viene assorbito più rapidamente dei carboidrati complessi, con un impatto a livello di glicemia. Per questo motive le patate hanno un indice glicemico più alto, così come il riso bianco, anche lui ricco di amido. Se manca la fibra, come appunto nel caso di riso bianco e patate, l’amido viene rilasciato nell’acqua di cottura. Viceversa, nel riso integrale l’amido rimane all’interno del chicco, con la cottura si cristallizza e non viene assorbito. Da qui la differenza a livello di impatto sulla glicemia tra riso bianco e riso integrale”.
Carboidrati e indice glicemico —
Come abbiamo visto, quindi, la presenza di fibre alimentari rallenta l’assorbimento degli zuccheri, riducendo il rischio di picchi glicemici. Ma anche la cottura può essere di aiuto in questo senso. “Se, ad esempio, lascio raffreddare la pasta o il riso dopo la cottura l’indice glicemico si abbassa. Se riscaldo pasta o riso già cotti e fatti raffreddare, l’indice glicemico si abbassa ancora di più. Questo proprio perché, come nel caso dei cereali integrali, l’amido si cristallizza e non viene assorbito. Un altro esempio: le patate bollite hanno un indice glicemico più alto di quelle al forno, che a loro volta vedono abbassarsi ancora di più l’indice glicemico se fatte raffreddare dopo la cottura”.
L’importanza delle fibre —
Appare quindi evidente l’importanza delle fibre alimentari. Un elevato indice glicemico, infatti, espone ad un maggior rischio di diabete di tipo 2. “Proprio per questo motivo è fondamentale seguire una dieta ricca di frutta e, soprattutto, verdura: la cellulosa svolge proprio la funzione di rallentare l’assorbimento degli zuccheri. Al contrario, le farine raffinate, private della fibra, hanno un effetto negativo a livello di glicemia”, conclude Falcone
Glicemia: ecco perché va tenuta sotto controllo. “Si rischiano danni a reni, occhi e cuore”
"In Italia per ogni due diabetici noti ce n’è uno che non è noto. Anche per questo sono fondamentali gli esami ad hoc"
“Bisogna dare molta più importanza alla glicemia, ma soprattutto alla glicemia come trigger dei veri problemi che la glicemia produce. Il glucosio di per sé danneggia l’occhio, i reni, il sistema nervoso e in misura minore il cuore. Il diabetico ha anche un rischio di infarto di gran lunga superiore rispetto ai non diabetici”. A dirlo a Gazzetta Active è il dottor Carmine Gazzaruso, responsabile delle Unità Operative di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari, nonché del Pronto Soccorso dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Pavia) e responsabile dell’Unità di crisi Covid dell’Istituto.
Il ruolo della glicemia, e l’importanza di tenerla sotto controllo, vale non solo per chi ha il diabete. Parliamo di tutti e, in particolare, di chi ha il pre-diabete, ovvero lo stadio precedente il diabete. I rischi sono notevoli… “Il diabete è un fattore di rischio per tutti i vasi sanguigni, sia grossi sia piccoli. Provoca complicanze macro e microvascolari. I grossi vasi vanno al cervello (da qui il rischio di ictus), al cuore (rischio di infarto) e agli arti inferiori (rischio di amputazioni). Questo rischio nel diabetico è più alto da due a quattro volte rispetto alla popolazione generale. Il pre-diabete è un fattore di rischio per la patologia cardiaca, cerebrale e degli arti inferiori esattamente uguale al diabete. Parlando in particolare delle donne, in percentuale quelle malate di diabete hanno dieci volte un rischio maggiore rispetto ad una donna non diabetica. Negli uomini diabetici il rischio aumenta di quattro volte rispetto all’uomo non diabetico”.
Quindi il consiglio di tenere sotto controllo la glicemia è valido per tutti? “Sì. Anche perché va ricordato che in Italia per ogni due diabetici noti ce n’è uno che non è noto”.
Come si fa a sapere se si ha il diabete, o il pre-diabete? “E’ molto semplice: basta un esame del sangue. Vanno considerati due valori: la glicemia e la emoglobina glicata. La glicemia deve essere sotto i 100. Dai 126 in su si è diabetici. Tra 100 e 125 si è prediabetici. La emoglobina glicata deve essere sotto i 5,7%. Da 6,5% si è diabetici. Tra 5,7 e 6,4% si è prediabetici”.
Ogni quanto tempo vanno fatti questi esami? “Le linee guida lo dicono chiaramente: una volta all’anno dai 40 anni in su. Ma si deve iniziare prima se si hanno casi di diabete in famiglia o se si è obesi”.
Quali consigli darebbe ad una persona che voglia mantenere sotto controllo la propria glicemia? “Bisogna guardare l’indice glicemico ma anche il carico glicemico degli alimenti. Vanno consumati poco gli alimenti ad alto indice glicemico e va ridotto il carico glicemico di tutti gli alimenti. Ricordando che le tabelle dell’indice glicemico vanno considerate con cautela. Perché l’indice glicemico varia in base anche alla cottura e al grado di maturazione dell’alimento: una pera matura ha un indice glicemico più alto rispetto ad una pera acerba. Le carote lesse hanno un indice glicemico molto maggiore rispetto alle carote crude. La pasta scotta ha un indice glicemico molto più alto rispetto alla pasta al dente. E dipende anche da quel che mangio insieme. Se faccio un pasto in cui consumo molte proteine, fibre e lipidi, l’indice glicemico si abbassa perché l’alimento viene assorbito più lentamente. Ci vuole equilibrio in tutto. L’indice glicemico non dipende solo dall’alimento, che può essere influenzato da molte cose. L’altro caposaldo è l’attività fisica moderata: mezz’ora al giorno tutti i giorni almeno cinque giorni a settimana. E’ uno dei più potenti mezzi per ridurre l’insulino-resistenza e il rischio di diabete”.